Kong: Skull Island (Jordan Vogt-Roberts, 2017)

Pubblicato il da Emanuele Rauco

Kong: Skull Island (Jordan Vogt-Roberts, 2017)

Dopo anni di serie C di successo, di squali volanti e scemenze affini, il grande passo è compiuto (verrebbe da dire il salto dello squalo): il trash della Asylum è diventato in tutto e per tutto un kolossal, prodotto e distribuito da una major e già serializzato come fosse uno Sharknado (seguiti e spin-off previsti fino al 2020). Le modalità produttive mainstream contemporanee e la tradizione a basso costo di un cinema volutamente "scemo": Kong: Skull Island racconta di una spedizione in un'isola misteriosa per questioni scientifiche e militari che diventa un inferno quando si scopre che l'isola è popolata da mostri preistorici, tra cui l'enorme gorilla chiamato Kong, il re dell'isola. 

Jordan Vogt-Roberts si impegna non solo a non prendere mai sul serio il plot, ma a ricordare allo spettatore costantemente la propria origine "sotto-proletaria" nonostante il budget: fin dall'incipit stilizzatissimo che pare un Duello nel pacifico in salsa acida, Kong: Skull Island è in pratica un'auto-parodia, un blockbuster in cui l'ironia diventa di continuo humour goliardico, dalla messinscena kitsch (l'uso dei ralenti), con attori un tempo divi che giocano senza vergogna con la loro immagine rovinata dal tempo (Samuel L. Jackson), con sequenze e situazioni messe in scena con spudorata cialtroneria, con la solita colonna sonora di canzoni d'epoca in cui Paranoid dei Black Sabbath sostituisce Wagner in una delle infinite strizzate d'occhio al cinema di guerra, specie quello del Vietnam, da Apocalypse Now a I guerrieri della palude silenziosa (che il Vietnam lo riecheggiava dalla Lousiana). In pratica, un monster-movie fuori di testa come un omologo giapponese ma rivestito ad hoc per un pubblico globale: a stare al gioco ci si può persino divertire. 

Voto: ✶✶

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