Stalker (Andrej Tarkovskij, 1979) #VeneziaClassici

Pubblicato il da Emanuele Rauco

Stalker (Andrej Tarkovskij, 1979) #VeneziaClassici

A 40 anni circa di distanza, chiedersi cos'è la Zona in Stalker è un esercizio ermeneutico forse inutile, eppure ancora stimolante. Certo, Tarkovskij continuerebbe ad arrabbiarsi come dice in Scolpire il tempo, ma gli spunti non mancherebbero: la Zona - citando lo stesso libro - "è la vita: attraversandola l'uomo o si spezza o resiste". Ma nel viaggio che porta lo stalker del titolo ad accompagnare un professore e uno scrittore di nascosto al suo interno, la Zona (comparsa all'improvviso gettando il mondo in una condizione post-catstrofica) è la fede. 

In Dio forse, ma anche probabilmente nel regime comunista, quell'oasi di colore in un mondo in bianco e nero he promette felicità e sogni impossibili da realizzare, che non si possono né devono realizzare, per il bene della Zona stessa. Ecco che il film abbraccia stilisticamente le caratteristiche metaforiche della sua straordinaria ambientazione: se "nella Zona tutto cambia di continuo", Stalker si riempie di immagini magmatiche, in decomposizione o fioritura, fatte di lunghi e spesso lenti carrelli che vanno in ogni direzione, dando un incredibile tridimensionalità a immagini pittoriche, filmicamente dense, in cui anche il suono è maniacalmente curato. Interrogandosi sugli elementi esteriori, Tarkovskij scava nell'intimo del suo paese, una landa sempre più abbandonata in cui praticare uno dei punti più alti della sua poetica dell'ignoto e dell'enigma interiore. 

Commenta il post