La prigioniera del destino (Veit Harlan, 1944) #VeneziaClassici

Pubblicato il da Emanuele Rauco

La prigioniera del destino (Veit Harlan, 1944) #VeneziaClassici

Gli orologi scandiscono il tempo quasi ossessivamente in La prigioniera del destino. E su di una pendola c'è scritto "di queste ore, una sarà la tua ultima". Harlan (famoso per aver diretto il più infame film di propaganda della storia, Suss l'ebreo) sembra non voler mescolare la politica nazista con questo melodramma cupo in cui il matrimonio tra il viveur Albrecht e la casta Octavia viene rovinato dalla seducente Als. Eppure la cosa più interessante del film - ancora più interessante perché probabilmente involontaria - è come Opfergang racconti il declino del nazismo attraverso alcuni dei suoi simboli. 

Senza il peso ideologico del cinema goebbelsiano, Harlan costruisce una sorta di fiaba perversa dominata dall'irrazionalità dionisiaca e misticheggiante di cui si nutrì l'epica hitleriana, in cui l'attrazione per i feticci orientali si sposa con la sensualità peccaminosa e festaiola (la festa di Carnevale), il romanticismo e la superumanità di Nietsche. Ma a scorrere sotto sentimenti e pulsioni c'è solo la morte, come se Harlan fosse consapevole che il vitalismo nazista era giunto al capolinea e il superuomo fosse ormai malato, moribondo o peggio, imborghesito. Un film denso anche nell'uso dei colori (anch'essi come desaturati), delle scenografie, dei risvolti suggestivi. Seppure, all'apparenza, facile e un po' banale. 

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