Walter Hill, amicizia a mani nude

Pubblicato il da Emanuele Rauco

Walter Hill, amicizia a mani nude

Pubblicato sul Mucchio di aprile

Se si pensa al cinema di Walter Hill, si pensa a persone che si sparano o al limite che si picchiano. Un cinema maschio e virile fatto di poliziotti e criminali, cowboy e indiani, pugili di strada o di carcere. Ma il cinema di Hill innanzitutto è il cinema dell'amicizia. Più di Ford e Hawks, il regista 71enne di Long Beach è colui che ha creato – o quantomeno definito in senso altamente filmico – il buddy movie, ossia il film in cui una coppia di amici sui generis (e più sono male amalgamati meglio è) si trova in mezzo a mille avventure. Forse il padre spirituale di questo schema è Billy Wilder – da A qualcuno piace caldo al film dell'abbandono alle scene, Buddy Buddy, significativo fin dal titolo – ma l'esecutore che ha meglio ha colto le sfumature dell'amicizia virile è sicuramente Hill. Non a caso il suo film più celebre, 48 ore ('82) è sostanzialmente una commedia rocambolesca che, sparatorie carambole automobilistiche a parte, sembra porsi nel segno di Wilder, (che realizzò il suo ultimo film giusto l'anno prima).

La storia di un poliziotto tutto di un pezzo (Nick Nolte, che si era fatto conoscere in un film hilliano come Guerrieri dell'inferno di Reisz) che deve diventare amico di un delinquente per catturare un evaso. Trama lineare, come il genere esige, lineare come la strada che di solito i protagonisti perseguono, ma che Hill arricchisce in modo tanto vivace e vitale da renderlo esplosivo e paradigmadico. Dialoghi taglienti e duetti imperdibili tra due attori che diventeranno star grazie al film, scene d'azione possenti tra pallottole e vetri infranti, suoni, rumori e luci urbane che si amalgamano con grazia violenta. E che illuminano il rapporto tanto spigoloso quanto onestissimo e in fin dei conti affettuoso, quanto lo può essere un cazzotto dato per rabbia, tra una guardia prontissima a sporcarsi le mani e un ladro che riesce a sentirsi perbene. 8 anni dopo, Hill torna sul luogo del delitto, con gli stessi attori e gli stessi personaggi: la sceneggiatura si limita a ricalcare lo schema e non c'è la minima urgenza da parte della regia, che però è capace di rendere ancora una volta coinvolgente il rapporto tra due uomini che amano odiarsi e in un certo non possono fare a meno uno dell'altra. L'amicizia virile, gradino diverso dall'amicizia maschile, è fatta di insulti e botte che non solo non celano, ma veicolano l'affetto nel modo in cui il maschio alfa può concepirlo. E il regista lo coglie perfettamente.

Lo farà anche in Danko ('88), praticamente con gli stessi mezzi narrativi e cinematografici, sostituendo l'incorruttibile Nolte col pacioso Jim Belushi e l'istrionico mariuolo di Murphy con il sovietico di granito Schwarzenegger, invertendo i ruoli ma non cambiando la sostanza. Più curioso invece lo sfortunato Ricercati ufficialmente morti ('87) in cui al centro è il rapporto d'amicizia tradito tra un federale (il solito Nolte) e un trafficante (Michael Ironside) l'un contro l'altro armati. Sgangherato non per colpa del regista, eppure efficace proprio in virtù delle sue sbavature.

Ma sempre in quegli anni, estremamente prolifici per il regista, Hill trovò il modo di realizzare uno dei ritratti di amicizia maschile più toccanti: nel '86, realizza Mississippi Adventure, spiazzando il pubblico e l'intera industria hollywoodiana. Colui che invase le sale con l'adrenalina dei Guerrieri della notte, che realizzò Drive 34 anni prima di Refn con Driver l'imprendibile, racconta la storia di un ragazzino che diventa amico di un anziano blues man per impararne i segreti e lo accompagna nel ritorno sul celebre fiume americano, dove potrà riaffrontare i fantasmi del suo passato. Un viaggio in un pezzo enorme della mitologia americana, il blues e le sue radici sataniche (l'amicizia tra Robert Johnson e Willie Brown), attraverso i luoghi mitologici dell'America, ma anche il rapporto tra un ragazzino che vuole incidere la canzone blues perfetta e si nutre della saggezza di un uomo che tramite il giovane trova la sua via per la vita eterna. Un Faust riletto secondo le radici dell'America migliore, e secondo i suoi suoni che Ry Cooder plasma coinvolgendo anche Steve Vai.

L'amicizia per Hill è ovviamente un romanzo di doppia formazione: il regista che prima di molti altri ha portato l'odore del sangue e la fisicità estrema della violenza nel cinema mainstream, sente che l'amicizia è necessariamente una strada a doppia corsia, che rifiuta il protagonista in crescita per concentrarsi sui percorsi che fanno evolvere entrambi le parti in causa. Il come – e a Hollywood è rarissimo, o almeno lo era fino a qualche anno fa – conta più del cosa. Per questo è naturale per Hill svoltare, evolversi appunto, passando dalla furia del cinema di genere all'elegia, che segue gli anni in corsa e cerca, in qualche modo di bloccarli. Ci prova con Geronimo ('93), che rilegge in chiave malinconica il rapporto tra il tenente Gatewood e il capo dei Chirikaua: un rapporto d'amicizia che non diventa mai completo, sconfitto dalla guerra e dalla storia, ma che proprio a causa delle distanze abissali che l'uomo da singolo non può davvero colmare, svela l'ammirazione, il riconoscimento dell'altro come uomo, come essere che non ha torto perché diverso. Resterà in territori storici e filmici simili con Wild Bill ('95) e prova a raccontare il rapporto uomo-donna in chiave non solamente affettiva, con figure storiche come Bill Hickock e Calamity Jane; ma le differenze di sesso non gli riescono bene come quelle tra donna, oltre al fatto che quel mondo sarà raccontato meglio in Deadwood ('04-'06), serie HBO che Hill produrrà dirigendone il pilot, o nella premiata mini-serie Broken Trail ('06).

Passano anni lontano dagli schermi che contano e poi arriva Stallone e offre a Hill Jimmy Bobo, un buddy movie d'azione che racconta l'amicizia impossibile tra un sicario e un poliziotto mentre la morte gira loro intorno. Cronaca di questi giorni per tornare agli scintillanti anni '80, quelli di Danko e 48 ore.

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