La migliore offerta - Giuseppe Tornatore
In molti, ultimo Pino Farinotti, amano discettare - con malcelato disprezzo - sulla ridondanza di Giuseppe Tornatore, delle sue enfasi emotive, del troppo che storpia. Eppure all'inizio della Migliore offerta, il suo nuovo film, bastano 3 scene per descrivere e inquadrare il personaggio principale, con una precisione di regia e un'economia di scrittura che ricordano l'inizio della Finestra sul cortile, con le evidenti, dovute distanze dai 2 film.
E Hitchcock torna ancora nel corso del film, che nel raccontare la seduzione sofferta e misteriosa per un battitore d'asta per una donna agorafobica che vorrebbe vendere il proprio patrimonio familiare, sfiora l'ossessione nera (anche nel senso di genere cinematografica, visto che la femme fatale è al centro del cinema noir dagli anni '40 in poi) della Donna che visse due volte. Tornatore scrive da solo, come al solito, un dramma romantico, che ora si tinge di giallo ora di melodramma, che è soprattutto un film sull'arte come seduzione, sull'impossibile fascinazione per la perfezione contro la fiducia per l'umanità.
Il protagonista Virgil è un collezionista di donne finte, di ritratti di donna, che non tocca gli esseri umani e dona il suo tatto solo ai quadri e ai manufatti artistici, che nega l'umanità degli altri e di se stesso perché alla ricerca della perfezione, ma che perde ogni coordinata e decenza quando può diventare demiurgo e creare la sua donna, la sua opera d'arte. Per Tornatore tra guardare e agire, come a lanciare una frecciata ai critici che - appunto - lo bacchettano, c'è un abisso che si chiama umanità, sensibilità: Tornatore conduce lo spettatore dentro questo spettatore con la consueta eleganza formale, la raffinatezza di luoghi e parole - perfettamente coerenti coi personaggi che le pronunciano - che diventa immagini.
Ma è anche capace, più che nei suoi film più personali che rischiano di apparire tanto più freddi quanto più intimi, come a negare lo spettatore (vedasi Baaria), di comporre un ritratto triste e ricco di suspense, capace di costruire il contesto proprio in funzione della tensione narrativa ed emotiva, lineare fino a sfiorare la prevedibilità, ma anche tanto ricco di sfumature e dettagli non solo di sceneggiatura da stimolare una visione più in profondità. Riuscendo nel piccolo miracolo di rendere avvincente e denso un film tanto costretto dentro i suoi meccanismi e ingranaggi (bellissimo il finale nel ristorante in Piazza dell'Orologio a Praga). E questo nonostante una parte centrale più sfilacciata e un geoffrey Rysh che, nonostante le apparenze, appare un po' fuori parte. Ma in un film del genere, come Hitch insegna, più degli attori contano i personaggi. E Virgil Oldman non lo dimenticheremo.