La città nuda (The Naked City, Jules Dassin, 1948) #Venezia75
Un capolavoro - nel senso stretto del termine - lo si riconosce anche per la sua influenza, per come gli anni successivi lo hanno ereditato, trasformato. Se esistono i polizieschi realistici, urbani, minuziosi nelle procedure e nei ritratti umani, se esistono opere fondamentali come Il principe della città di Lumet o le serie tv Hills Street giorno e notte e New York Police Department lo si deve a La città nuda: l'omicidio di una ragazza e le successive indagini sono scandite dalle personalità dei poliziotti, dalle tecniche, ma soprattutto dalla città e dai suoi luoghi, ripresi dal vero con occhio documentario e neorealistico (magistrale fotografia di William Daniels, premiata con l'Oscar).
Aperto dalla voce del produttore Mark Hellinger che fa anche da voce narrante (e dice i titoli di testa), il film di Dassin procede veloce, nudo, ma non secco anzi: fino al magnifico finale sul ponte di Brooklyn, le digressioni e i piccoli bozzetti di vita newyorkese con le esistenze personali dei detective e i pensieri e parole dei veri abitanti della grande mela hanno un peso e un interesse quasi pari a quello del crimine. E Dassin dedica una canzone dolce, dolorosa e sfacciata alla sua città, con una cura del dettaglio emotivo eccezionale: tutta la sequenza con i genitori della vittima è esemplare.