Il portiere di notte (Liliana Cavani, 1974) #Venezia75
Ancora un albergo, come in L'anno scorso a Marienbad e sempre popolato di ricordi, di "fantasmi che prendono vita" come dice Dirk Bogarde. Ma i fantasmi di Il portiere di notte sono più concreti di quelli di Resnais: nella Vienna del 1957 sono i fantasmi del nazismo, del rapporto sessuale e sentimentale "osceno" tra un ex-ufficiale delle SS - che sta cercando di occultare prove e testimoni per un processo imminente - e una ragazza ebrea (Charlotte Rampling) prigioniera di un campo, che riappare nella sua vita come cliente dell'albergo.
Cavani pone il dito nella piaga, sceglie di raccontare la piaga del nazismo attraverso un'ottica corporale ed erotica, in cui le dinamiche della prigionia diventano quelle del desiderio e dell'amore. La provocazione è evidente, specie nel crescendo della drammaturgia e nel ribaltamento dei ruoli che portano al bel finale, e il film sceglie coerentemente la strada della controversia etica, narrativa e stilistica, come mostra la sua estetica illividita e raffinata (per cui Ebert parlò di "nazi-chic" e che fece partire un filone), il suo gioco di frammenti che ricorda le messinscene di un tableaux vivants teatrale. Proprio come nel film di Resnais: tutto è rappresentazione, stilizzazione, persino sottile revisione della Storia (o delle storie).