The Meyerowitz Stories (Noah Baumbach, 2017)

Pubblicato il da Emanuele Rauco

The Meyerowitz Stories (Noah Baumbach, 2017)

New and Selected dice il sottotitolo tra parentesi di The Meyerowitz Stories. Baumbach sottolinea che le storie dei Meyerowitz, come le opere d'arte del patriarca Harold, sono state selezionate tra passato e presente per essere esposte. Al pubblico, ovviamente, ma soprattutto ai membri della famiglia: quel 'selezionate' indica soprattutto il punto di vista di chi racconta, la via per comprendere il grumo di rancori e non detti, ma anche di sentimenti vividi e sopiti che rappresentano ogni famiglia. 

Padre - artista sulla via del declino ma bisognoso di riscatto - e i suoi tre figli da matrimoni diversi come diversi sono i loro caratteri, forse inconciliabili eppure capaci di gesti e affetti: una personale dedicata al padre artista sarà l'occasione per mettere alcuni punti sulle loro vite. Baumbach (anche sceneggiatore) costruisce episodi e ritratti separati e incrociati come i rancori dei personaggi e le frasi che si vorrebbero dire ma non si dicono: una commedia di quelle acri di cui il regista è moderno maestro, ma con un tono più maturo, consapevole, tenero proprio per la testardaggine con cui i suoi personaggi cercano la possibilità di un affetto, sia un vecchio amore trascurato sia un padre che non riesce mai a trovare le parole per dire il proprio di affetto. 

E in questa ricerca disperata e umanissima, in cui manca la traccia del sarcasmo dei film precedenti, Baumbach lavora sui duetti tanto in sede di scrittura, quanto soprattutto in sede di regia, concentrando scene e inquadrature sui rapporti a due, sulle coppie di personaggi che occupano l'inquadratura, sui campi e i movimenti di camera che regolano quei rapporti: la vicinanza intima e arruffata di Adam Sandler e la figlia mentre suonano al piano, la lontananza variabile tra Ben Stiller e il padre nell'irresistibile sequenza della giacca al ristorante, il padre che corre e i figli che sempre inseguono ripresi in inquadrature larghe o serrati controcampi. O lo splendido zoom dopo un lodevole gioco di fuochi con cui Sandler diventa, finalmente, adulto e indipendente.

Su un ambiente tipico per il suo cinema, Baumbach sembra andare più a fondo, sembra scolpire l'amore filiale (e non solo) come Harold scolpiva il legno, calibra sentimento e ironia con il metro del paradosso e del contrasto (più ci si avvicina alla malattia e all'addio, più il tono diventa sorridente e stralunato) e dimostra una favolosa maturità di stile e narrazione, resa ancora più evidente da un cast sontuoso e dal miglior Dustin Hoffman da molto tempo in qua.

Commenta il post