The Accountant (Gavin O'Connor, 2016)

Pubblicato il da Emanuele Rauco

The Accountant (Gavin O'Connor, 2016)

In occasione dell'uscita in home video e dell'arrivo sui satellitari, posto una recensione scritta alla Festa del Cinema di Roma e non pubblicata.

Da tradizione hollywoodiana, la prima sequenza di The Accountant dice molto del film che ne seguirà: il protagonista da piccolo si trova in una clinica neurologica anti-convenzionale ed è intento a costruire un puzzle. Il bambino è autistico e la mancanza dell’ultimo pezzo lo fa andare in escandescenze; ad aiutarlo però arriva una ragazzina, la cui distanza dal mondo è anche più grande, raccoglie da terra il pezzo mancante e glielo dà. Il puzzle, che è stato realizzato al contrario, rivela la figura di Mohammed Alì. Gavin O’ Connor in quei pochi minuti condensa un film di supereroi (quindi con super problemi oltre alle capacità) travestito da thriller d’azione. 

A questo travestimento, la sceneggiatura di Bill Dubuque dà anche un pretesto “d’attualità” e un impianto da best-seller letterario: Christian (alias con cui la gente lo conosce, come fosse Superman) è un contabile di talento, capace di ripulire i conti più sporchi in men che non si dica e di risolvere i più atroci dilemmi finanziari. Quando il suo lavoro rischia di mettere in crisi un’importante azienda robotica, la sua vita è in pericolo, anche perché sulle sue tracce si muove già il governo USA. Film d’azione, criminalità moderna frutto di investimenti e azioni in borsa truccate, l’intelligenza superiore come arma in più del protagonista. 

E invece The Accountant finisce nella scia dei vari Bourne o affini diventando l’esibizione di un uomo perfettamente addestrato e infallibile solo contro il mondo in cui ogni elemento sembra voler camuffare la reale natura di cine-comic: oltre alle doti nascoste ed evidenti di Christian (che si fa chiamare Wolff e risolve problemi), l’utilizzo del background, i rapporti con i personaggi e soprattutto con i familiari denunciano schemi fumettistici ampiamente calcati e di per loro poco interessanti (la stessa clinica di neuro-scienze diventa una sorta di campus del professor Xavier). Il film denuncia quindi l’impossibilità per il cinema mainstream di natura avventurosa e dal target maschile di allontanarsi dall’unico fiume in cui è possibile pescare, peccato che O’ Connor di quel fiume non sappia davvero che farsene.

Innanzitutto perché il racconto a due terzi si blocca e non riparte più, impastoiato prima in lunghe reminiscenze, flashback emotivi e infinite beghe familiari e poi in un colpo di scena che da possibile asse portante diventa un’agnizione a effetto come un’altra; ma soprattutto perché il regista prova a dare una patina vintage poco convincente (nello stile visivo, nella fotografia lievemente sgranata e calda, nell’andamento narrativo della prima ora) a un prodotto dal découpage e dalla messinscena convenzionalmente moderni, rivelandosi poco abile nel gestire la tensione e la suspense, a controllare un climax che non deluda e a realizzare le sequenze d’azione. Per chi si accontenta, The Accountant ha un Ben Affleck che gioca con intelligenza sul suo status di inespressivo supereroe e qualche tocco ironico. Ma c’è chi si accontenta ancora di cose del genere, che sembrano il minimo sindacale?

Voto: ✶✶

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