Fiore (Claudio Giovannesi, 2016)

Pubblicato il da Emanuele Rauco

Fiore (Claudio Giovannesi, 2016)

Più che lavorare attraverso il racconto o i personaggi, Claudio Giovannesi in Fiore definisce la protagonista attraverso il contesto, più precisamente i luoghi che lo compongono: in particolar modo il carcere minorile in cui Dafne si ritrova dopo una serie di scippi. Qui, mentre cerca di convincere il padre a prenderla in custodia per farla uscire di prigione, conosce Giosc, come lei minorenne detenuto. E comincia davvero a pensare a un futuro possibile. 

Non è semplicemente uno sfondo o un ambiente quel carcere, come non lo sono i pochi altri luoghi in cui Fiore si svolge, ma è un elemento che forma il personaggio e costruisce il racconto, che in modo molto coerente si svolge attraverso il senso delle procedure e delle dinamiche di quel luogo, che viene analizzato e decostruito con la macchina da presa e il montaggio per renderlo qualcosa di più di semplice gabbia da cui fuggire, vero e propro aggregatore di mondi paralleli che di solito entrano in collisione. In primo piano c'è un ritratto femminile altalenante, fragile e volubile, stretto sulla protagonista ma senza i manierismi à la Dardenne di troppo cinema europeo (e non solo); subito dietro c'è un film che abbandona gli schematismi ideologici e crea un universo fluido e composito, che cerca di continuo aperture e scarti e li trova grazie alla sua umanità e a uno stile maturo e accurato: si noti il differente utilizzo linguistico della steady-cam (nelle belle scene al mare e nel finale, ma anche in precedenza) rispetto alla macchina a mano, il cinema che cerca l'aria e la vita e la tensione del quotidiano con cui fare i conti. 

Voto: ✶✶✶

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