La riappropriazione culturale: The Birth of a Nation e Moonlight

Pubblicato il da Emanuele Rauco

La riappropriazione culturale: The Birth of a Nation e Moonlight

Sembrano diventati simboli identitari più che opere cinematografiche The Birth of a Nation di Nate Parker e Moonlight di Barry Jenkins, presentati alla recente Festa del Cinema di Roma, anche perché i loro rispettivi valori filmici sono discussi e discutibili. Ma è sicuramente vero che dopo i manifesti Straight Outta Compton di F. Gary Gray e Selma di Ava DuVernay, il cinema black sta maturando verso una dimensione "mainstream" - seppure nell'alveo protetto del cinema indipendente del Sundance - che ha una forte valenza culturale, quella della riappropriazione: di spazi, di parole, di sentimenti, di orientamenti sessuali.

Eclatante il caso di The Birth of a Nation (voto: ★★): Parker si riappropria del titolo del film più razzista della storia americana, il film chiave di Griffith che venne contestato fin dalla sua uscita nel 1914 come attacco alle popolazioni afro-americane e manifesto del Ku Klux Klan prossimo alla rinascita. E qui ribalta le carte in tavola: manicheisticamente, con veemenza uguale e contraria al classico del secolo scorso, i cattivi sono i bianchi, più o meno beneintenzionati o "tolleranti" (come il padrone interpretato da Armie Hammer) e la nazione - che non può che nascere nel sangue - è quella nera, che si fonda sullo sterminio degli schiavisti prima tramite la vendetta e poi tramite l'istituzionalizzazione con la guerra civile. E come in Griffith (ma puntando sul cattolicesimo e non sul protestantesimo bianco), il cardine è la religione nel nome della quale riformulare i propri concetti di giustizia e libertà, su cui costruire una civilizzazione propria e autonoma, una cultura peculiare.

E non a caso la religione, con una sequenza di battesimo analoga nei due film, torna anche in Moonlight (voto: ★★): che attua però una strategia di riappropriazione molto più profonda e interessante rispetto alla base culturale di partenza, anche religiosa. Jenkins costruisce un romanzo di formazione abbastanza classico ed erede di Spike Lee (nume tutelare, in fondo, anche del film di Parker) con la particolarità che l'identità che il protagonista deve scoprire è quella sessuale, o meglio omosessuale, in un mondo - quello dei bassifondi criminali metropolitani - in cui la virilità afro e lo spaccio sono una cosa sola: bellissimo il personaggio del mentore che accetta la possibile tendenza del giovane ragazzo e lo battezza verso la propria vita. Moonlight con cautela soprattutto estetica vuole far "nascere" una nazione semi-nascosta, che il successo di un cantante come Frank Ocean sta cominciando a diradare, ossia quella della cultura omosessuale nera, per mostrarla a un pubblico popolare e mainstream.

Vittime che diventano fieri carnefici. Machi che cercano contatti e intimità maschili. Il cinema come avanposto sociale di una comunità. L'America nera si prepara ad affrontare il post-Obama con forza, a quanto pare.

 

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