La battaglia di Algeri (Gillo Pontecorvo, 1966) #VeneziaClassici

Pubblicato il da Emanuele Rauco

La battaglia di Algeri (Gillo Pontecorvo, 1966) #VeneziaClassici

Un mendicante algerino è sul bordo della strada. Davanti a lui sfrecciano le auto e le moto della polizia alla ricerca di una cellula di attentatori. Attorno a lui, gli abitanti del quartiere europeo lo guardano con rabbia e sospetto. Lui si alza spaventato, vorrebbe andare via, dalle finestre gli urlano insulti razzisti. Chiamano la polizia intimandogli di non fuggire. Lui corre via, ma le forze armate lo arrestano. Vedere a 50 anni di distanza il capolavoro di Pontecorvo fa paura per l'incredibile modernità e la capacità di leggere gli eventi della storia, che si ripetono fino a oggi (uno degli attentati è effettuato da due ragazzi su un furgone, che sparano alla folla per strada e gli si lanciano contro). 

Ma La battaglia di Algeri - che come il titolo dice racconta dell'insurrezione della capitale algerina contro i francesi - è uno spartiacque di modernità impressionante nella struttura drammaturgica, nel taglio narrativo cronachistico e incalzante, nello sguardo nervoso e sgranato, fatto di macchina a mano mobilissima, zoom e montaggio veloce, musica percussiva di Ennio Morricone di voglia di catturare la realtà mentre la si rappresenta, portando la lezione di Rosi alle estreme conseguenze stilistiche (i francesi non parlano mai: leggono documenti, direttive, circolari, sentenze, domande, risposte. O impartiscono ordini agli algerini e ai loro connazionali). Ed è uno spartiacque soprattutto per il modo di rappresentare l'azione e la tensione - implacabili per due ore piene: senza Pontecorvo non esisterebbero Greengrass e affini - e la consapevolezza politica di un popolo, estendendo tutto il Nord Africa e l'area araba, che raramente aveva trovato voce e soprattutto sguardo: meraviglioso in questo senso il finale con la cortina di fumo davanti agli occhi francesi che dissipatasi mostra il corteo dei rivoltosi. Forse - oltre che per le lampanti ragioni politiche - è per questo che in Francia fu censurato e temuto per anni: perché svelava un modo di intendere il cinema che fece scuola nei paesi ex-colonie, lontano dalle convenzioni del cinema francese, tanto di papà quanto di figli giovani turchi.

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