Fargo, 2^ stagione | Noah Hawley
Bravo Noah Hawley a cambiare quasi tutto per la seconda stagione di Fargo. Non solo la trama, come d'obbligo per una serie antologica, ma soprattutto il tono e il registro della serie. Un omicidio involontario da parte di una coppia comune scoperchia un vaso di Pandora all'interno di una guerra tra gang criminali: la polizia cerca di capirci qualcosa ma il numero dei morti sale vertiginosamente come un body count impazzito.
Hawley gioca consapevolmente con le mitologie coeniane: se nella prima stagione partiva dal film omonimo ma raccontava un crescendo di tensione e metafisico male accostabile a Non è un paese per vecchi (con Billy Bob Thornton nella più inquietante incarnazione del "diavolo" mai vista), nella seconda invece si gioca con il pulp grottesco della prima parte della loro carriera. Tutta la stagione è un fiorire di colpi di scena, omicidi buffi e raccapriccianti al tempo stesso, soluzioni visive e grafiche sopra le righe pronte per scatenare risata e orrore. Quello che però sembra mancare in buona parte è la capacità di racconto, l'interesse degli autori a sostenere uno sviluppo narrativo che trasformi la vicenda in un affresco anziché lasciarla in un gioco quasi goliardico. Ci riesce solo nelle ultime due puntate (nonostante uno dei più grossi WTF di tutti i tempi), quandi si ricorda dei personaggi, di cosa sono e cosa significano allìinterno di un racconto. Perché fare ciò che la tv non ha mai fatto, non è un merito a prescindere.