Speciale Cannes 2014
(pubblicato sul Mucchio di Giugno)
Basterebbe il fuori concorso per decretare che Cannes 2014 è inferiore all’anno precedente: là c’erano film bellissimi come L’ultimo degli ingiusti e All Is Lost, qui no. In generale un livello discreto, che però non ha portato capolavori e che in generale ha segnato il passo dopo la ricchezza dello scorso anno. Ma i film da segnalare non mancano: come fuori classifica, lo stravolgente esperimento di Godard su immagine e 3D (Adieu au langage).
TOP
Winter Sleep (Nuri Bilge Ceylan)
9
Dramma da camera capace, come il cinema di Farhadi, di scavare la superficie delle immagini attraverso le parole. Ceylan utilizza una sorta di metodo maieutico per far emergere i caratteri e i temi, attraverso dialoghi e conflitti sempre più esacerbati, calcando la durata (196’) per creare familiarità con i luoghi, i personaggi, l’atmosfera della sceneggiatura, per far sentire lo spettatore a proprio agio come in famiglia, nel calore domestico e poi chiuderlo in una specie di gabbia. Se il film non parla direttamente della Turchia e delle sue condizioni, ne svela il sottotesto politico e culturale con afflato romanzesco, rivelando la differenza tra bellezza ed estetismo, fra virtuosismo e tecnica. Quella che padroneggiano i suoi attori, capeggiati da un meraviglioso Haluk Bilginer e dalla bellissima Melisa Sozen.
Mommy (Xavier Dolan)
9
Quando sulle notte di Wonderwall, il protagonista che corre sullo skate allarga l’inquadratura passando dall’immagine 1:1 a quella 16:9, la sala applaude spontaneamente. Uno dei più bei momenti di un film che prende un dramedy anni ’90 con famiglie difficili che si amano, problemi psichici ed economici, vicini di casa affettuosi e complicati, e lo trasforma in grande cinema, in viaggio nelle emozioni, nei ricordi, nelle sensazioni, anche nel tempo passato e futuro. A 25 anni, Dolan si conferma uno per cui la parola genio non pare sprecata, capace di andare oltre il racconto, i temi, i personaggi e di parlare attraverso essi di linguaggio, di usare l’immagine per provocare emozione (l’inquadratura come segno di sofferenza o sogno di libertà), di essere colto e pop senza diventare mai radical chic. Fenomenale.
The Homesman (Tommy Lee Jones)
8
Western che cerca di unire lo spirito acre di Peckinpah con l’umanesimo di Ford. E riesce nell’impresa con un film che sa trasformare un racconto e una narrazione apparentemente freddi, cinici e distaccati in attimi di commozione, intensità etica e umana, per raccontare il viaggio di un’umanità folle ma mai disperata, capace di fare la cosa giusta a qualsiasi prezzo e per qualsiasi prezzo, ribaltando costantemente il nichilismo o l’idealismo nei rispettivi contrari. Come storyteller, Tommy Lee Jones è infallibile, come regista dimostra di essere il più grande westerner in circolazione, avendo la consapevolezza che uno sguardo, un cenno minimo può portare calore al pubblico. Ai grandi registi basta un piccolo gesto sincero, per aprire un mondo nello spettatore. Jones è un grande regista.
National Gallery (Frederick Wiseman)
8
Wiseman racconta dal di dentro la National Gallery, con lo stesso metodo di sempre: entrare nei luoghi dove si decidono le sorti di un’istituzione, osservare, non intervenire né commentare, mostrando i meccanismi decisionali e il lavoro concreto intorno al museo londinese. E come sempre la capacità di tirare fuori il senso politico delle immagini è straordinaria. Wiseman abbatte le barriere tra ciò che è di pubblico dominio e ciò che non si potrebbe sapere, tra il dietro e il davanti le quinte, tra lavoro e risultato e lo fa su una materia tanto più affascinante quanto più affine alla settima arte. E il finale, con i due ballerini che danzano tra i dipinti del museo, fonde non solo le varie anime dell’arte, ma i vari elementi del cinema e il percorso di Wiseman da qualche anno a questa parte.
Deux Jours, une nuit (Jean-Pierre e Luc
8
Teso dramma sociale e politico, che ricorda nei temi alcuni dei film di Ken Loach (che a Cannes con Jimmy’s Hall non è spiccato). Se lo stile dei fratelli, ovvero camera a mano attaccata alla protagonista, fotografia sgranata e lunghe inquadrature è un marchio di fabbrica copiato dagli autori europei, bisogna riconoscere che i Dardenne lo fanno meglio. Il ritmo, la tensione, la lucidità, la forza del loro cinema è unica nel contesto internazionale e arriva in Deux jours, une nuit a un’economia espressiva incredibile: ogni scena è girata con una sola inquadratura che per composizione, posizione, dinamismo dà il meglio e rende possibile l’espressione degli attori, senza retorica né virtuosismi. Magnifici tutti gli attori, ma Marion Cotillard ovviamente ha sulle sue spalle il peso del mondo.
FLOP
Xenia (Panos Koutras)
4
Il primo Almodòvar incontra Amici di Maria de Filippi: gay vittime dei bulli ma appassionati di musica pop retro italiana, fratelli che vanno ai talent show, fughe rocambolesche per cercare padri perduti. Tra tentativi di stupire e spiazzare il pubblico, violenze che non si ha il coraggio di compiere, talento che manca. E il cameo finale di Patty Pravo è il colpo di grazia di questo filmetto pomeridiano.
Loin de mon père (Karen Yedaya)
4.5
Non c'è un festival se non c'è un film scandalo. Ma non un film con donne semplicemente nude, ma un film con un tema morboso e raccapricciante, per esempio l'incesto. Tema scabroso che fa parlare i giornali, violenza odiosa girata con stile compiaciuto, ricatti emotivi, regia che tratta lo spettatore come il cane di Pavlov, che lo maltratta e poi gli dà il contentino. Senza un briciolo di stile.
Grace di Monaco (Olivier Dahan)
5
La versione XX secolo delle storie di Sissi con intrighi di corte, tracce di femminismo, melodramma e patina glamour. A renderlo però freddo è una drammaturgia da film per la tv americano e una regia con rare idee al di fuori della messinscena agiografiche della fiction targata RAI. Il monologo finale che salva il mondo durante un ballo mostra la mummificazione completata di Nicole Kidman.
The Search (Michel Hazanavicius)
5
Odioso bignami del cinema impegnato per il pubblico europeo con sensi di colpa borghesi: guerra di cui non frega nulla all’Europa, bimbi orfani con il broncio e gli occhioni, eroina indefessa e mamma in fieri, corsa contro il tempo per fermare la partenza di una ragazza, montaggio di civili morti con musica sacra e soldato “innocente” che piange dopo varie umiliazioni. Quasi indecente.
Incompresa (Asia Argento)
5
Apprezziamo che Asia Argento abbia voluto raccontare la più patetica delle (negate) autobiografie con piglio pop punk, vitalità scenica, colori, costumi e musiche, tra Sofia Coppola e Valérie Donzelli. Ma a furia di andare oltre le righe, riduce tutto a macchietta ripetitiva, allontanando lo spettatore che si chiede a chi dovrebbe parlare, cosa dovrebbe dire un film del genere.