Die Hard 5 | John Moore
John McClane è un'istituzione per chiunque ami l'action movie e la serie di Die Hard è uno dei capitoli di un'eventuale bibbia per il cinema d'azione. Per cui la delusione di fronte a un tonfo come Die Hard 5, ovvero Un buon giorno per morire, è pesante. Di fatto perché non è un film della serie, è probabilmente tratto dalla sceneggiatura di un'intera stagione di 24 (produce e distribuisce Fox che trasmette la serie di Surnow e Cochran) ridotta a 97 minuti e resa più idiota.
A partire dalla scelta di affiancare a McClane il figlio incazzoso e agente segreto, interpretato da un attore fiacchissimo, il film dà segnali di debolezza e sciatteria inimmaginabili da un marchio che anche con il 4° film aveva dimostrato almeno capacità di divertire e appassionare. Ma oltre ai limiti cinematografici, di sceneggiatura pedestre e regia di seconda fascia, sono le questioni che tira in ballo a essere insopportabili: il regista John Moore (regista meno che mediocre di film come il remake di Omen e Max Payne) vorrebbe raccontare la Russia post-sovietica come una terra post-apocalittica in cui Mosca è una landa desertica, ma trafficata come il terzo mondo, in cui poter far esplodere palazzi come niente, come se la guerra fredda fosse ancora in corso; per poi riempire di battutine, litigi familiari e macchiette del tutto fuori luogo in un contesto visivo e narrativo fin troppo serioso e in cui McClane in pratica sparisce. E a nulla serve il ricorso raffinato a stuntman e artificieri, come nell'ottimo inseguimento automobilistico, quando poi nel finale si appesantisce lo stile con ralenti, computer grafica e stupidaggini in serie indegne persino di Michael Bay. E vedere costretto Bruce Willis a buttare via senza motivo il classico "Yippie ka-hey motherfucker", solo per sentire ridacchiare il pubblico, è il colpo di grazia.
Trailer ufficiale di Die Hard - Un buon giorno per morire